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La natura delle cose

di FRANCESCA PIERSANTI

“Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, di isole, di pesci, di abitazioni, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che questo paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto.”

(J.L. Borges, L’artefice)

Quella di Federica Giulianini è una pittura che sembra nutrirsi di memoria e realtà, di mimesi e invenzione e che pone in primo piano la struttura compositiva dell’immagine, in una sintesi di diverse prospettive naturali  filtrate dal pennello e trasformate in evocazioni di forme che si susseguono in un’armonia compositiva nutrita da un’acuta sensibilità poetica.

Non c’è paesaggio senza una relazione tra soggetto e natura, che si verifica attraverso la visione. Lo sguardo è attivato da stimoli differenti, che passano dalle conoscenze culturali e scientifiche e arrivano al piacere estetico. La natura diventa immagine parziale di un insieme, un estratto, l’esito di una negoziazione che mette insieme l’evidenza e l’inaspettato.

Cézanne, gettando un ponte tra l’immediatezza impressionista e la struttura cartesiana del paesaggio, ritiene che il pensiero sia lo strumento per la conoscenza della realtà pur non rinunciando alla sensazione visiva. Con la “Montagna di Sainte-Victoire” Cézanne definisce uno spartiacque nella storia dell’arte paesaggistica, dimostrando che è lo sguardo a determinare e strutturare il pensiero della natura.

Il paesaggio per Federica Giulianini è dato dall’incontro tra la memoria privata e quella culturale ed è l’evento irripetibile in cui avviene la metamorfosi, lo spazio in cui cogliere le mutazioni della forma e della luce e rinsaldare le relazioni con lo spazio naturale minacciato dal suo doppio digitale. Nella sua pittura il paesaggio diventa la poetica di un mondo magico e primitivo che si apre all’improvviso tra le pieghe del colore.

Le forme della natura si dispiegano nell’arte di Federica Giulianini come il punto d’intersezione fra la stesura segnica e quella cromatica. Si radunano insieme come presenze evocative, essenziali, sospese sulle sue tavole di legno di pino o di pioppo in una sorta di fraseggio musicale. La base composta dai colori tenui e da quelli delle terre della materia pittorica si alterna ai segni di matite e pastelli che ne rigano la superficie delimitando un contorno, definendo una sezione del dipinto, o evidenziando una macchia, una presenza.

Simmetrie, curve, forme-strutture, sono le dinamiche della natura che si muovono l’una dentro l’altra e l’una a partire dall’altra, generano paesaggi come luoghi della memoria, del sacro e dell’intimità, e allo stesso tempo costituiscono per l’artista i dispositivi per l’analisi del linguaggio e della percezione visiva.

Lo spazio è strutturato in accordi ritmici di forme essenziali e di contorni nitidi, sorpresi e interrotti a tratti dall’incursione di un punto rosso che sposta il centro della visione, di una sbavatura di colore che segna un passaggio atmosferico, di una matita che suggerisce la sagoma di uno spettatore, di una griglia geometrica che introduce un principio euritmico dal sapore rinascimentale nell’architettura della composizione.

Nei lavori di Federica Giulianini il valore alchemico della pittura e quello magico della natura sembrano unirsi nella morbida materia pittorica che circoscrive lo spazio privo di profondità di un bosco, di un paesaggio marittimo attraversato dalla nebbia e interrotto da lame di luce, di un cielo turbato da ombre che emergono nel silenzio.

Le forme vitali della natura sono colte sempre nelle due dimensioni, emergono monocromatiche da uno spazio privo di coordinate, agitate da un colpo di vento o da un contorno abbagliante che arriva al color rosso vivo. La loro bellezza e il loro mistero si mostrano insieme alla fragilità e all’impermanenza, trattenute sulla carta e sulla tavola rivelano quel moto continuo del mutamento che si fa percettibile solo nell’istante in cui è catturato. Braccate dal tempo che divampa nel presente e preannuncia la sua fine. Il volto calmo e insieme drammatico della natura è riflesso nella pianta monocarpica, che fiorisce e fruttifica una sola volta e poi muore.

Micromondi

di TOBIA DONA'

Il lavoro che Federica Giulianini sta portando avanti da alcuni anni non è solo una ricerca estetica, ma un progetto etico, un impegno costante nel dare forma ai minimi, minuziosi e impercettibili frammenti di tempo e di esistenza che ella stessa definisce micro mondi. Sono come i piccoli punti di una riga, le infinite coincidenze che compongono insieme le nostre vite, ma più precisamente quello che siamo.

Il supporto utilizzato è la carta. La scelta del materiale è già un investimento di significato. Si tratta di antichi documenti che, a partire dai primi decenni del novecento, la sua famiglia ha accumulato per via delle proprie attività lavorative.

Registri, annotazioni, documenti di commercio, legati alla propria storia e a quella dei suoi avi, ed ancora al luogo.

Spesso uniti con l’immersione in acqua, in una sorta di battesimo creativo, attraverso un mescolare tellurico riemergono e tornano in vita le loro precedenti identità. Superfici nelle quali si identifica ora l’artista, in quanto vi ritrova una posizione di pensiero dove ancorarsi spiritualmente, per ridurre lo sconfinamento e la distanza che l’atto creativo potrebbe instaurare con il proprio mondo.

Ravenna è la città dei mosaici bizantini, del colore e dei simboli antichi, dove Federica ha vissuto e dove ha maturato le proprie idee che ora ritroviamo nei neri intensi, nei colori a volte accesi, altre delicati, affidati non tanto alla velocità fulminante dell’improvvisazione, quanto alla vibrazione del segno sottile che percorre venature brulicanti di vita microscopica.

Immagini positive e incoraggianti sulla nostra partecipazione al grande viaggio intrapreso sin dalla esplosione primordiale, se mai vi sia stata.

Una grafia di femminilità la sua, poiché intesa nel contesto della natura. Sono concrezioni di pigmenti capaci di riattivare metafore e istinti prenatali, in una cromo-genia delle origini, composta da energie primordiali che trattiene, come strette in un pugno chiuso, tutto ciò che all’uomo rimarrà per sempre sconosciuto.

Impulsi genetici di nuove forme, di nuove figurazioni, non quindi istanti bloccati di memoria sedimentata, bensì altre possibilità sulla lavagna metaforica e dilatata del tempo. Un lento, lentissimo emergere delle forme che da indefinibili si sono via via tramutate e trasformate, come se il mistero profondo non potesse essere svelato.E’ l’inesauribile complessità simbolica dei segni più definiti a provocarci il medesimo stupore provato dagli antichi davanti all’incomprensibile. E, ancora una volta il mondo che sta sopra, sotto e dentro di noi, resta pura contemplazione, nel dipanarsi incessante di macchie e nebulose che furono un giorno anch’esse vita o che lo diventeranno a breve, nell’inesauribile e silenzioso destino di uomini e dei.